Al termine di un ciclo di incontri dei gruppi dirigenti di Faib Confesercenti, Fegica Cisl e Figisc/Anisa Confcommercio, è stata approvata una articolata mozione conclusiva che, di seguito, pubblichiamo integralmente.
DOCUMENTO UNITARIO DELLE PRESIDENZE/SEGRETERIE - Roma, Marzo 2017
Si sono riunite a Roma, le Presidenze e le Segreterie Nazionali di Faib Confesercenti, Fegica Cisl e Figisc Confcommercio per approfondire alcuni temi già esaminati nel corso della riunione dei gruppi dirigenti del dicembre 2016 e gennaio 2017 con l'intento di offrire alla struttura tutta ed alla riflessione del settore, ulteriori elementi di dibattito e di approfondimento.
LE PREMESSE
Il settore sta vivendo una situazione che non ha precedenti nella storia del Paese che, pure, ha visto in passato momenti assai critici - dalla crisi petrolifera della fine degli anni 60 a quella dell'inizio degli anni 70, caratterizzata sia di forte penuria di materia prima a causa di scenari internazionali sfavorevoli, che dall'abbandono del mercato italiano da parte di molte multinazionali del petrolio. Mentre alla fine degli anni 70 il vuoto lasciato dalle compagnie che abbandonavano il mercato italiano era coperto anzitutto dalla compagnia di stato, oggi Shell ha abbandonato il mercato, Esso – a prescindere dalle smentite di circostanza - sta vendendo la sua rete a pezzi ad operatori «indipendenti» che consentono il mantenimento del marchio e dei volumi per i prossimi anni, TotalErg ha avviato un'azione di disimpegno dalla rete e dal mercato, vuoti tutti che non saranno, come in passato, surrogati da ENI.
A loro volta, globalizzazione e crisi economica si sono tradotte in secca diminuzione del ruolo e dei diritti delle categorie meno strutturate a sopportarne l’impatto (lavoratori, soggetti economici assimilabili e tutto il tessuto della microimpresa) e per ciò stesso destinate ad avere una funzione residuale nei processi economico-evolutivi.
A livello Paese, le stagioni della «concertazione» sono, e non da oggi, finite, la funzione di governo è sempre più espressa per emergenze ed urgenze varie, le macro logiche di sistema non stanno neanche più nel Paese, ma sono derivate da scelte dell’Unione Europea. In questo contesto diventare soggetti sociali, categorie «residuali» appare quasi un esito scontato ed il tema reale sul tappeto, è quello della ricerca, da parte dei governi, di una disintermediazione che coniughi direttamente "governatore e popolo".
L'industria petrolifera, essa stessa incalzata dalla crisi, non si è sottratta dall'interpretare in funzione strumentale tali fenomeni, in nome di efficienze fittizie e di parodie di mercatismo - che hanno avuto il ruolo di fornire ulteriore declino ad un settore produttivo che risulta tuttora essenziale (e, secondo gli organismi internazionali, lo sarà per i prossimi 30/40 anni) per il sistema Paese -, scaricando le pressioni esclusivamente al suo interno sugli operatori finali della filiera -inquadrati in rapporti commerciali e contrattuali fortemente asimmetrici- con i quali hanno di fatto azzerato i diritti, distogliendo margini ed erogati che ne fanno venir meno la sostenibilità e giustificazione economica dell’impresa di gestione.
Politica e Governi si sono interessati del settore molto spesso solo per la semplice ragione che i carburanti non sono una merce normale, dal momento che lo Stato è sempre stato il «socio maggioritario» della loro distribuzione [si ricorda a proposito che l’incidenza media sul prezzo finale delle imposte è stata dal 1960 al 2016 del 68 % sulla benzina e del 54 % sul gasolio]. Dopo aver gestito, senza molto sforzo o dispendio per molti anni alcuni meccanismi di controllo dei prezzi, hanno successivamente affidato il settore al «mercato», anteponendo ad una reale governance, solo misure mediatiche (quali il ricorso alla moral suasion sui prezzi o l'istituzione dell’obbligo, in capo ai Gestori, della loro pubblicizzazioni), ovvero -come nella stagione delle «lenzuolate» e delle liberalizzazioni- assecondando -a seconda della convenienza- spinte conservative od innovative messe in atto da questo o quel potere forte, interessato a gestire ovvero a spartire quote di mercato nel settore.
Infine, ancora, delegando all’Authority lo sviluppo della concorrenza sulla rete e nel mercato petrolifero -che si sono risolti in un peggioramento complessivo delle condizioni quo ante-: una «concorrenza sulla carta», che ha assunto specifiche connotazioni solo in funzione dell’evidente impatto mediatico del settore nei confronti dell’opinione pubblica; per la rilevante incidenza della fiscalità; per l’opacità che le compagnie hanno costruito nel tempo intorno alla questione prezzi e per le sue evidenti ricadute sulle tasche degli italiani hanno finito per far declinare un settore che era un punto di riferimento per la crescita e lo sviluppo.
E' vero: forse , oggi, i prezzi sono leggermente più bassi ma il settore è stato destrutturato e condannato alla residualità: raffinerie chiuse con indotto cancellato; contratti di solidarietà fra lavoratori dell'industria petrolifera; chiusura di migliaia di impianti e migliaia di Gestori rovinati da un mercato senza regole nel quale non hanno potuto competere; multinazionali che hanno abbandonato il mercato italiano senza alcuna sostituzione industriale; un sistema di illegalità diffusa che ha riempito i "buchi" lasciati dagli operatori integrati.
Questo è il risultato di una precisa scelta politica di Governi ed Antitrust che si sono accontentati di risultati di facciata purchè riaffermassero la loro primazìa: forse qualcuno dovrà assumersi la responsabilità di aver cancellato un intero settore, miliardi di investimenti e miglia di Gestori e lavoratori.
Si aggiunga, in tempi più recenti, che un certo pressapochismo ed una notevole ideologicità dell’approccio - complici anche in questo le grandi opzioni comunitarie e l’obbligo a dovervisi adeguare, sottacendo, oltre alla complessità e tempistica dei processi di transizione, anche che nell’equazione economica della sostituzione energetica il costo lo paga comunque il settore tradizionale - al complesso tema delle fonti energetiche alternative, hanno relegato verso la marginalità il settore petrolifero, un settore che serve solo a fungere da vettore per «fare cassa», un settore «maturo» non più attuale o di tendenza nel dibattito «politicamente corretto» del «dopo petrolio».
A questo proposito sembra avanzare -puntando sulle corde dell'emozione collettiva- l'idea di fissare un termine ultimo per l'utilizzo dei carburanti fossili in questo Paese: sarebbe onesto che chi produce energia elettrica si rendesse conto che la mobilità e non solo, sono temi estremamente delicati per giocarseli a dadi con chi prima apre e poi (dopo, i cedimenti della politica) chiude le centrali (perchè non più convenienti), che utilizza -a seconda della convenienza- metano, carbone, olio combustibile da bruciare. Con chi ha utilizzato oltre 200 miliardi -a carico delle utenze elettriche che tutti i mesi pagano tutti i cittadini- per finanziare fotovoltaico (ed eolico) e generare un bene che, al momento, nemmeno si "stocca" ma si disperde per le quantità non utilizzate. Quando si parla di indipendenza energetica, di garanzia per la produzione e la mobilità, non si può improvvisare in funzione delle convenienze del momento. A maggior ragione se, a farlo, è un'Azienda partecipata dallo Stato (e di cui lo Stato nomina Amministratore Delegato, Presidente e 4/5 del CdA) e se -dietro le quinte- si sta orientando il dibattito sulla revisione della SEN in questa direzione (come come il Ministro Passera aveva fatto incentrando la "strategia" esclusivamente sul metano).
L’illegalità dilagante nel settore – che, oltre a quelli di rilievo strettamente nazionale, pone altresì problemi di controllo e di «filtri» che riguardano la circolazione dei prodotti in ambito comunitario -, danneggia ulteriormente la categoria, già ampiamente penalizzata da un sistema «legale» di accesso al mercato ed al prezzo condizionato dalle asimmetrie dei vincoli di fornitura e del doppio canale che alimenta la concorrenza diretta sullo stesso segmento di rete.
Illegalità ed eccesso di fiscalità, tuttavia, sono elementi – per stessa ammissione dei Governi - strettamente correlati: lo sviamento del gettito tributario in direzione del rafforzamento delle strutture criminali nonché l’inquinamento del mercato , si as sommano al pesante gap di competitività per le imprese che devono sopportare alti costi dell’energia ed una farraginosità del sistema "burocratico" che ne limitano le possibilità di sviluppo. Ciò diventa elemento imprescindibile di una lenta ma costante erosione del potere di acquisto delle famiglie che pesa sul sistema italiano in misura rilevante rispetto alla media dei Paesi comunitari e traccia la rotta di un declino dal quale non sarà facile risalire.
Sarebbe, tuttavia, ingeneroso limitare l'analisi alle contraddittorie posizioni espresse da Unione Petrolifera che, da una parte sostiene che non vi è alcuna legalità possibile se non allo stretto interno dei rapporti economici e commerciali con le compagnie ma, dall'altra, sembra ignorare (ma così non è) che le stesse compagnie utilizzano tutti gli escamotage possibili per ridurre diritti e margini ai Gestori.
Delle due l'una: o si riprende un sistema di relazioni industriali improntato ad un rispetto delle regole che inclusa gli operatori "onesti" ed affidabili che hanno a cuore il futuro del settore con l'obiettivo di trovare nuovi equilibri oppure lasciare che il futuro della distribuzione carburanti, in Italia, rimanga in mano ad una miriade di operatori privi di qualsiasi vincolo industriale (ma "ricchi" di disinvoltura) che hanno come unico obiettivo la convenienza immediata. Bisogna, in altre parole, scegliere perchè stare con due piedi in una scarpa (fare contratti di guardianìa o d'appalto di servizi; tagliare margini; negare il confronto con la rappresentanza previsto dalla Legge; ecc.) non è più utile ad alcuno e lascia che il settore degeneri e le compagnie si trasformino in "mero fornitore".
Appare indispensabile quindi, proprio in considerazione della necessità per la politica ed il Governo di intervenire sul settore in funzione dell’emergenza dell’illegalità, che distoglie quote imponenti di gettito - necessario peraltro a garantire conti pubblici messi sotto esame ripetutamente dall’Unione Europea - riportare l’attenzione e richiamare la responsabilità delle istituzioni sui processi incompiuti di razionalizzazione del settore, di cui le ultime misure sono state adottate, con esito infruttuoso, ben cinque anni fa.
Le, sia pur insufficienti regole consegnate al settore con la legge «Cresci Italia» (27/2012 sulle liberalizzazioni) non possono essere, infatti, considerate l’intervento definitivo sul settore,in quanto applicate solo parzialmente.
Perché, mentre la ratio del provvedimento era stata quella di fornire norme finali per la definizione dei rapporti interni ad esso, (affidandone la gestione alla libera determinazione delle Parti), tale processo non si è neppure minimamente sviluppato: anzichè rispettare la norma, le disposizioni ivi contenute sono state eluse lasciando che proliferassero -contra legem- istituti contrattuali che ha favorito un'accentuazione del livello della conflittualità e che non si è mai concretizzato un processo di innovazione idoneo a produrre effetti positivi sulla distribuzione e sui prezzi. Il tutto lasciato alla "buona volontà" e senza che le Autorità preposte si siano attivate per ripristinare il diritto e, con esso, la legalità. Ovviamente questo arretramento dell'Amministrazione ha, di fatto, negli ultimi anni, incoraggiato atteggiamenti quando non contrari apertamente alla Legge, almeno omissivi.
Su questo secondo punto – e quindi in termini di nuova propositività della categoria in merito a processi che possono avere un interesse comune e diffuso – appare opportuno e «pagante» chiedere una nuova attenzione della politica e delle istituzioni che parta dalla revisione delle norme di cinque anni fa, sia per definire più opportune tutele - e strumenti stringenti per esercitarle – nel quadro degli attuali rapporti contrattuali e commerciali con gli altri soggetti del settore, sia per contribuire allo sviluppo di soluzioni innovative.
Ma la Politica sarebbe bene che ripartisse dai fondamentali, dalla sommatoria delle piccole cose che, messe insieme, fanno una strategia. Un Paese.
Il nostro settore, piegato dalla crisi (la rete ha perso oltre il 30% dei volumi sulla viabilità ordinaria e circa il 60% sulla viabilità autostradale dall'inizio della crisi) e frustrato dall'immantinenza dell'Antitrust, rischia di non far più notizia.
Il prezzo industriale, in Italia, è il più basso d'Europa (ma il più alto al pubblico se si sommano le accise, l'Iva e le sovrattasse regionali), la conflittualità è inghiottita dalla miriade di contratti contra legem che sono stati imposti ai Gestori tanto dalle compagnie (Tamoil in primis) che da nuovi soggetti arrembanti (retisti ed acquirenti di pacchetti delle dismissioni, Esso in testa), senza che l'arbitro, cioè la pubblica amministrazione, abbia alzato un dito di fronte alle denunce che ripetutamente sono state inoltrate.
E, invece, ci sarebbe necessità di una Politica e di un Governo che rispettano e fanno rispettare le Leggi. Semplicemente.
In un contesto fortemente critico del settore, in cui le tradizionali controparti dimostrano una coesione progettuale pressoché nulla, e dopo una lunga stagione di criticità crescenti nei rapporti reali, le organizzazioni di categoria ritengono che sia giunto il momento che le imprese di gestione ambiscano ad un ruolo «autonomo» rispetto all’evoluzione del settore, che possa integrare sinergie con le aziende nell’ambito dei rapporti tradizionali, purché nelle forme idonee a garantire la sostenibilità economica dell’impresa di gestione, ma altresì con rapporti commerciali innovativi idonei a contribuire all’evoluzione in senso pluralistico del mercato.
Da questa impasse si esce, ad avviso delle Organizzazioni di Categoria dei Gestori, soltanto provando a superare il quieto ma tumultuoso isolamento di ciascuno nel quale il singolo ha come unico obiettivo la difesa del difendibile lasciando che il resto "scorra". Che i problemi degli altri rimangano degli altri e, comunque, sullo sfondo rispetto alle proprie priorità.
Ai Gestori, per ridurli a più miti consigli è stato ripetutamente ed in dosi massicce praticato l'elettroshock: dall'industria petrolifera, dai retisti privati, dall'Antitrust, dalle banche e dalla Pubblica Amministrazione e dalla Politica (ormai distante dal mondo reale).
Occorre "distruggere" l'apparecchio utilizzato per praticare questa cura iniqua, senza attendere troppo e senza cercare cure palliative e senza mostrare timori reverenziali o sudditanza psicologica contro chi si è dimostrato "feroce aguzzino" dei diritti e negatore del futuro di un'intera Categoria.
Certo, ci vuole forza e, sopratutto, coraggio: quello che non riesce a un individuo solitario, ripiegato su se stesso, riesce ad una Categoria che abbia la consapevolezza della propria forza e la capacità di porre la propria azione al servizio degli altri dai quali, così, potrà mutuare maggiore forza e porre, concretamente, problemi.
Non c'è niente di peggio che ricacciare i diritti di una intera Categoria in un angolo. Senza possibilità di uscita, perchè la "rabbia" che cova all'interno delle singole sconfitte è come l'acqua che, attraverso percorsi imperscrutabili, emerge dove non ce lo saremmo mai aspettato.
Ma, deve essere chiaro e limpido, si può anche decidere di fare a meno del Sindacato, delle Organizzazioni di rappresentanza, immaginando di "bastare a se stessi": le nostre Organizzazioni non immaginano di perpetuare la loro presenza se non in funzione di un effettivo esercizio della rappresentanza. Di una ragionamento organizzativo e politico condiviso. Patrimonio di tutta la Categoria. E ripartendo da oggi, con la "sottoscrizione" di un nuovo patto. Fra tutti e per tutti.
Qualunque azione sia indispensabile per un energico appello alla politica ed alle istituzioni, le organizzazioni hanno bisogno di dimostrare di avere con sé una categoria.
Se pure le dure vicende di questi anni possono avere generato percezioni diffuse da parte dei singoli di una diminuita capacità di tutela rispetto alle aspettative, tali da far scegliere di «fare a meno del sindacato» rifugiandosi nell’alternativa della ricerca di soluzioni individuali, partendo dalla consapevolezza che il mandato di rappresentanza non può considerarsi affidato «per sempre», ma di volta in volta è riconfermabile solo con un rendiconto de una verifica dei risultati, le organizzazioni ritengono che sia questo il momento necessario di ricercare l’affidamento di un nuovo patto di mandato rappresentativo.
Con assoluta chiarezza, le organizzazioni non immaginano, né tantomeno pretendono, di perpetuare la loro presenza se non in funzione di un effettivo esercizio della rappresentanza fondato su un ragionamento organizzativo e politico, su una prospettiva che sia condivisa e patrimonio comune di tutta la categoria.
LE COSE DA FARE
1) Riaprire un canale di comunicazione permanente con il Parlamento, ivi compresi tutti i gruppi politici, per riaccendere il faro sul settore e riaffermarne l’attualità -e non già la marginalità rispetto al nuovo che avanza in tema di energie alternative-, a fronte di pesanti criticità quali la crisi della raffinazione, la sicurezza dell’approvvigionamento, l’allargamento del mercato, la razionalizzazione, da un lato, e l’abbandono, dall’altro, della rete, l’emergenza illegalità e la fiscalità di sfavore che alimenta il gap competitivo ed il peso sociale per il sistema Paese.
2) Richiamare fortemente l’attenzione della Politica e delle Istituzioni sullo stato e sulle contraddizioni profonde del settore; sullo stato di crescente prostrazione della Categoria, a seguito non solo della proliferazione di norme contraddittorie sedimentate nel tempo, che non hanno sortito processi di ammodernamento del settore ma, ne hanno, invece, bloccato lo sviluppo; su misure incomplete ed integralmente o parzialmente inattuate che hanno acuito le conflittualità interne al sistema senza apportare vantaggi alla comune utilità.
3) Portare l'industria petrolifera, dalle singola aziende all’Unione Petrolifera, ad aprire una riflessione comune di «scenario» sulle prospettive del settore e sul superamento delle criticità che hanno inibito una accettabile continuazione della vita del settore e delle gestioni, sui processi di selfizzazione incontrollata (che hanno favorito solo un consolidamento di rendite, penalizzando operatori con sistemi e struttura complessa con, vincoli industriali e sociali di scala corrispondente). I tempi sono maturi, in un quadro di regole chiare e condivise, per avviare una nuova stagione di corrette relazioni industriali attraverso la quale giungere a contratti -anche di nuova definizione- che mantengano i livelli di contrattazione previsti dalla Legge; che contengano un inequivocabile sistema sanzionatorio per chi viene meno all'obbligo di procedere all'applicazione della Legge (che non si presta a strumentali interpretazioni). Ripresa di un sistema "ordinato" di relazioni industriali che metta fine al "dumping" contrattuale di cui soffre, da troppo tempo, il nostro settore.
4) Sollecitare il Ministero dello Sviluppo Economico ad uscire dall'apatia che ha caratterizzato la sua azione nel corso degli ultimi anni offrendo, intanto, risposte alle vertenze in atto e, sopratutto, definendo, insieme a tutti i soggetti del settore, le linee sulle quali incardinare la politica energetica nei prossimi anni (da questo punto di vista, le organizzazioni di categoria rivendicano il diritto ad esprimere il proprio punto di vista - come peraltro hanno già fatto a suo tempo con una posizione critica sul documento della SEN) anche sul nuovo piano energetico, invitando i primi responsabili del Dicastero a fissare un tavolo di confronto permanente nel quale riannodare i fili di un confronto che è rimasto, e solo per questa categoria, senza risposte.
5) Verificare con la rappresentanza dei retisti indipendenti (Assopetroli e Consorzio Grandi Reti) l'andamento dell'applicazione degli Accordi sul contratto di commissione, sottoscritto specificamente per questo segmento della rete ordinaria, e definendo altresì il livello di sostituzione con tale istituto dei contratti di guardianìa ovvero appalto di servizi a parità di prestazione. Occorre verificare le criticità degli aspetti economici dei rapporti, la partecipazione la contribuzione al Cipreg, con un l’obiettivo del rilancio della contrattazione economica ai sensi delle norme di settore, che, nella fattispecie dei retisti, può anche essere sostanziata in una contrattazione orizzontale, mirata a condividere parametri economici e normativi di medietà.
6) Sul tema della «moneta elettronica» i cui costi gravano per circa il 35 % sul margine unitario del Gestore (cui vanno addizionati costi di linea ad affitto Pos) occorre uscire dalla inconcludente spirale che si trascina dalle norme del 2011, con una disponibilità delle gestioni a farsi carico della royalty dovuta al sistema bancario esclusivamente sulla parte di diretta competenza (ossia il margine). Sul piano tecnico, è sufficiente utilizzare il meccanismo di ripartizione dell'accisa, senza alcun appesantimento contabile), dovendosi chiarire che, ove questo non sia, in alternativa, i costi della monetica debbano essere imputati ai costi di gestione generali e come tali rientranti tra gli elementi base nella negoziazione aziendale di cui alla normativa di settore, ed implementati sin d’ora nella parte economica del rinnovo degli accordi.
7) Per quanto riguarda la situazione in Autostrada, è necessario riprendere il confronto certo con l'industria petrolifera sulla definizione di specifici accordi economico-normativi per questo segmento, ma anche con le società concessionarie che continuano ad immaginare di avere un rapporto bilaterale con le società Affidatarie del servizio ignorando -nonostante il Decreto interministeriale del 7/8/2015 dica altro- che l'esecuzione delle "Convenzioni" è rimessa al Gestore che non è e non è stato parte attiva nella definizione delle "gare". Rimangono ancora aspetti centrali da definire (dall'indennizzo al self diurno; dalle politiche di pricing che non determinino interazioni infra-brand, alle politiche di affitto sui convenience store; dalla verifica di una contrattazione che deve essere in linea con la norma, agli aspetti contrattuali legati alla effettuazione del servizio non oil e ristoro sotto pensilina), secondo quanto espressamente richiamato nel Decreto 7/8/2015.
8) In questo quadro stupisce, ancora una volta, il silenzio dei Ministeri dello Sviluppo Economico e dei Trasporti e Mobilità, destinatari di precise contestazioni circa la contraddittorietà fra Decreto Interministeriale e Bandi di gara e, quello che più inquieta, è la perdurante afasia anche rispetto a precisi quesiti su alcuni aspetti dirimenti del rapporto fra Concessionari, Affidatari e Gestori che finiranno per determinare l'insorgere di un contenzioso di non facile composizione.
9) Da ultimo le Organizzazioni di Categoria intendono stigmatizzare il comportamento dei Ministeri interessati -ma anche delle società concessionarie- che hanno tollerato la chiusura degli impianto operanti lungo il sedime autostradale da parte della Tamoil: impianti che sono stati chiusi prima che scadessero le concessioni di affidamento a conclusione di un contenzioso chiuso con accordo extragiudiziale, che sono rimasti chiusi, in alcuni casi, per oltre due anni e che oggi, come se nulla fosse, sono stati riassegnati alla medesima Tamoil. Ciò deve essere chiaro, crea un pericoloso precedente che potrà ispirare comportamenti similari senza alcuna possibilità di frapporre ostacoli alla sua realizzazione. Sarebbe opportuno che prima i Concessionari e, quindi, i Ministeri, approfondissero il tema e provvedessero alla revoca della concessione per manifesto vizio di legittimità (può essere interrotto il pubblico servizio per oltre due anni e, poi, tornare ad esserne titolari come se il comportamento precedentemente assunto non abbia fatto venire meno i requisito che ispirano l'affidamento della concessione di un pubblico servizio secondo l'ordinamento generale dello Stato? Oppure chi è più forte non deve soggiacere a tale obbligo? I Gestori, per estensione, potranno quindi mutuare il loro approccio al pubblico servizio dal comportamento di Tamoil non sanzionato dalla Pubblica Amministrazione (e dai Concessionari). E, ancora, può l'Affidatario di un servizio pubblico reso in regime di "concessione" violare o eludere le Leggi e le prescrizioni dello Stato in materia di gestione di attività "pubblicistiche" e in materia di lavoro?
Per maggior dettaglio sulle questioni direttamente attinenti alla parte contrattuale, si ritiene di dover operare tenendo di vista, almeno di massima, alcune linee guida su cui muoversi nelle fasi di breve e medio termine:
A) la revisione da apportare alle Leggi di settore esistente per un ripristino di regole sul versante degli accordi e dei contratti, nel senso di conferire «contenuti» e non solo «princìpi» alla legge 27/2012 in questa specifica materia, e distintamente:
1) tutelare con un principio di continuità (già adoperato per esempio nella rete autostradale con il decreto 09.08.2015) nelle fasi di dismissione delle reti e cessioni a terzi i contratti dei gestori in essere;
2) adottare forti deterrenti anche economici per le Parti che non intendano rinegoziare gli accordi aziendali;
3) introdurre deterrenti per le Parti che non intendano negoziare sulle figure contrattuali alternative (negoziazione che potrebbe strutturarsi attraverso un rapporto diretto con le aziende stesse, in caso di inerzia della rappresentanza industriale);
4) esplicitare il principio delle cosiddette «eque condizioni» in termini che consentano la determinazione del danno eventualmente apportato alla parte soccombente in caso di inosservanza;
5) concordare un protocollo generale condiviso di best practices che riaffermi l’osservanza nei rapporti tra le parti del principio di giustificazione economica per la parte finale della filiera, sulla falsariga del «Protocollo di Berlino 2015»;
B) la contemporanea valutazione sui temi che riguardano l’accesso al mercato, al prodotto ed al prezzo -che passano sempre attraverso la definizione di nuovi istituti contrattuali, di fatto una loro «liberazione» a vantaggio del sistema distributivo e del consumatore- e che attengono ad un obiettivo di «svecchiamento» di un sistema basato su una filiera rigida del prezzo e delle figure contrattuali (che di fatto è il vero gap competitivo della rete tradizionale e delle sue gestioni in quanto incidente negativamente sulla flessibilità di determinazione del prezzo nelle fasi di filiera, quindi, alla fine sui consumatori), in una prospettiva di innovazione ben maggiore di quanto non rappresenti la mera dismissione «spacchettata» della rete delle petrolifere a terzi, aspetto che può costituire un vero fattore di novità atto ad indurre politica e Governo ad un rinnovato interesse alle proposte della categoria.
Su questi argomenti le Organizzazioni della Categoria intendono promuovere una serie di iniziative di approfondimento e di dibattito a livello territoriale diffuso ed a livello nazionale con le controparti naturale e con le rappresentanze politiche, di Governo e Parlamento.
Ove dovesse essere ritenuto opportuno, le Organizzazioni della Categoria promuoveranno tutte le azioni di mobilitazione necessarie a raggiungere gli obiettivi appena enunciati e, se necessario, anche promuovere una chiusura degli impianti su tutto il territorio nazionale per ribadire lo stato di crisi della categoria e la necessità di imprimere un'accelerazione al cambio di politica verso il settore. Chiusura da effettuarsi con tempi e modalità da definire alla quale verranno chiamati ad aderire tutti i soggetti interessati -indipendentemente dalla presenza di gestioni dirette, guardianìe, appalti di servizio, ecc.- perchè solo la condivisione della strategia e la partecipazione dei Gestori determinerà la possibilità di proseguire credibilmente la mobilitazione, articolarla in fase e modalità successive e renderla efficace a conseguire lo scopo.
Recriminare senza fare, in questo contesto, non è di alcun aiuto.
Mozione conclusiva gruppi dirigenti Faib-Fegica-Figisc.pdf
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